Malaterra. Come hanno avvelenato l'Italia by Marina Fort

Malaterra. Come hanno avvelenato l'Italia by Marina Fort

autore:Marina Fort [Fort, Marina]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Laterza
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Il processo alla chimica

La questione della salute a Porto Marghera è esplosa più tardi, e si deve ad alcuni medici del lavoro, a tecnici come Rigosi, e in modo particolare a lavoratori come Gabriele Bortolozzo.

Per 34 anni dipendente del petrolchimico, Bortolozzo aveva lavorato nel reparto autoclavi, i serbatoi dove il cloruro di vinile monomero veniva “polimerizzato” e trasformato in Pvc. Poco a poco aveva visto i suoi compagni di lavoro ammalarsi e morire di angiosarcoma epatico, un tumore al fegato: finché di sei colleghi era rimasto solo lui. È questo che lo ha spinto a indagare. Voleva fermare quella strage che si consumava nel silenzio.

Gabriele Bortolozzo ha cominciato a registrare le testimonianze delle famiglie e di molti ex operai. Poco a poco ha creato un archivio di referti medici, di articoli e di studi sulle sostanze lavorate, sui reflui, sui fumi, sulla concentrazione di Cvm in aria negli stabilimenti. «Lo prendevano per pazzo», ricorda Michele Boato, «gli dicevano “ci farai chiudere la fabbrica”». Lui invece si è messo a studiare un po’ di medicina, un po’ di chimica e di impiantistica industriale, per capire cosa avveniva negli stabilimenti. Ha curato un numero monografico della rivista «Medicina Democratica»11 per denunciare l’eccesso di mortalità tra gli “autoclavisti”: nel decennio tra il 1970 e il 1980, su 424 addetti nei reparti di polimerizzazione, c’erano stati 90 morti o malati gravi di tumore, ovvero il 20 per cento.

Nel 1994 Gabriele Bortolozzo, sostenuto dall’associazione Medicina Democratica, ha presentato un esposto al tribunale di Venezia sui decessi e le malattie provocati dalla lavorazione del cloruro di vinile monomero: accusava i dirigenti aziendali di non aver fatto nulla per salvaguardare gli addetti, benché fossero a conoscenza dei suoi effetti cancerogeni. Nel suo esposto c’era una lista di 157 operai morti di angiosarcoma e altri 400 malati.

«Per decenni sono stati costruiti nuovi impianti senza adottare accorgimenti tecnici per limitare la nocività e l’inquinamento», scriverà Bortolozzo in un lungo articolo che ricostruisce le battaglie per la salute nel petrolchimico; i lavoratori sono stati «obbligati a subire sulla propria pelle, non c’è che dire, tutti gli effetti dannosi delle sostanze lavorate». Richiamava anche l’attenzione sulle ricadute fuori dagli stabilimenti, «quattrocentomila abitanti costretti a vivere attorno a fabbriche altamente nocive e pericolose»12. In un libro pubblicato più tardi13, ha raccontato una fabbrica dove ogni operaio era un numero e le comunicazioni erano indirizzate, per esempio, «al Sig. 919».

L’esposto di Gabriele Bortolozzo è stato giudicato ricevibile dal tribunale di Venezia, che ha affidato l’indagine preliminare al pubblico ministero Felice Casson. Per Bortolozzo è stata una grande notizia, ricorderà poi la figlia Beatrice: finalmente le sue denunce erano prese sul serio. Lui però non ha fatto in tempo a vederne l’esito. È morto nel dicembre del 1995 a Marghera, sulla sua bicicletta, investito da un camion14.

Nel novembre 1996, dopo un’ampia indagine sulle condizioni di lavoro in fabbrica e sull’inquinamento ambientale, il pm Casson ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per 28 dirigenti di Montedison, Enimont e Enichem.



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